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Libertà nell'assenza

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Fede111
view post Posted on 11/2/2009, 21:31




Libertà nell’assenza

Ci sono assenze che colmano il nulla. Assenze che uccidono. Assenze libere. Almudena era un esempio di assenza.

Almudena, una bambina,che aveva passato i primi anni della sua vita in una gabbia di falsità.
Ora Almudena era una ragazza abituata a sorridere per attirare l’attenzione degli altri, per far posare sguardi di premura su di lei. Convinta a fingere, all’ombra del suo segreto. Del suo problema. Del suo dilemma: il cibo. Dipendere o trascendere? Dimenticare sé stessa e i suoi desideri e cedere? Prigioniera di una timidezza interiore,invisibile agli occhi,schiava di un corpo che non vuole conoscere,che vuole mutare,che non vuole rendere suo. Dipendente anche di un frammento di un amore distratto. Tutto pur di riempire, anche imbrogliando,le sue mancanze. Il suo vuoto,che la perseguita:giorno e notte,notte e giorno. Non c’è nessuna differenza. Raccoglieva sguardi e parole. Distribuiva sorrisi e fragilità.
E così viveva. Dosava il cibo. Tagliava vestiti e bevande. Si odiava e cercava di amare gli altri.
Finché non si ritrovò,nello stesso giro di tempo,insieme a una persona. Una persona, Andrea,che differentemente da lei non aveva tormenti,ma dubbi. Non era estroverso,ma sensibile. Non sapeva consolare, ma abbracciare. Non voleva scrivere,ma parlare. Non aveva imparato a cantare,ma a gridare.
Un ragazzo,con qualche anno in più, con qualche esperienza in meno. Ma l’essenziale era che ora appartenevano allo stesso tempo.
Si incontrarono. Si odiarono. Si vollero bene. Si capirono. Partirono.

Era ottobre. Un ottobre, colorato dagli ultimi riflessi di un sole stordito. Il primo ottobre, che passavano insieme. Ognuno incatenato nella propria vita. Ognuno accanto all’altro.
Almudena aveva imparato a guardarsi allo specchio,ma non a volersi bene. Andrea aveva imparato a uscire un po’ dalla sua solitudine,ma non a tradurre sé stesso agli altri. Insieme,ma soli.
Era ottobre,quando lui aveva detto:
-Devo partire. Vado dall’altra parte del mondo. Vieni con me-.
Andrea era un medico. Un medico,che nella sua totale devozione,aveva trovato la dimensione della sua vita.
E Almudena non seppe dire di no. Non seppe negare un sì a quella parte di sé stessa. Non fu capace di dimenticare lui per la sua vita. E decise di seguire e assecondare l’unica parvenza di amore, che ora le era concesso di osservare.
E Almudena passò i mesi seguenti in aereoporto, inseguendo il sogno di Andrea e non il suo.E l’aereoporto per lei era diventato l’emblema della vita. Paragonò un semplice e dimenticato aereoporto a una metafora della nostra stessa esistenza. Tutti partono e ritornano più volte nella vita. A orari diversi. In giorni separati. In epoche lontane. E l’aereporto è quando aspettiamo,dove ci conosciamo,sempre in attesa di quell’aereo da prendere.
C’è chi decolla. C’è chi atterra. E chi invece rimane in sala d’attesa come Almudena.Il suo aereo decollava da un altro terminal,ora, eternamente distante da quello di Andrea. Forse il loro tempo aveva smesso di girare nella stessa direzione.
E anche in questi aereoporti di tutto il mondo,anche insieme a questo Andrea,che non conosceva più,con lei c’era sempre il cibo. Cibo condito all’ansia di perderlo. Lui, che almeno in parte l’aveva rapita dal suo inferno. Fragile, sempre più fragile stava diventando. Fragile e repentinamente, nuovamente più affamata di prima.

Era luglio, quando prese coscienza. Quando capì. Quando tentò di recuperare sé stessa.
Era luglio, quando toccò per mano i fili di quel rapporto,che non si intrecciavano più. E nodi sempre più nodi al posto di sorrisi sinceri e carezze. Lui piano piano si era allontanato.Un’altra persona era penetrata in lui. Era andato via,di nascosto,senza dichiararlo,ma facendolo lo stesso. Consapevole che quello sarebbe stato il modo per farle più male. Poiché una volta che non sapeva più amarla,il resto era niente unito al dolore.
E Almudena aveva temuto qualcos’altro più del cibo e più di perdere lui:quello di piangere. Questo fece per una settimana. Per una settimana uscì da sé stessa, perse di vista sé stessa e in lei entrò un’ospite estranea. Estranea, ma sperata. Estranea,ma invidiata.
E non mangiò. Bevve smisuratamente. Visse per sette giorni davanti a uno specchio. Voleva,in un modo assurdo e crudele di ritrovare quella mano,a cui aveva creduto di potersi aggrappare. Ma il nulla, in quel caso, ebbe la meglio. Il vuoto vinse.
Per sette giorni il cibo non le era servito più a niente.

Ma dopo la peggiore astinenza di felicità, digiuno di sorrisi, prigionia di ricordi, marasma di onde, fuoco, vertigini, celle di nulla un frammento di serenità, una parvenza di luce ci deve essere.

E ora di nuovo a ottobre Almudena,ogni giorno si sveglia. Ogni giorno si veste. Ogni giorno mangia. E poi parla. Studia. Lavora. Ama. Continua o almeno cerca di vivere.
A tratti è felice. A tratti è malinconia. A volte c’è,altre ancora non c’è,è persa in qualche ricordo o in qualche caloria da dosare. Pensa. Dorme. Legge. Ma lui c’è sempre, anche se non c’è. L’eco e la spuma di giorni passati,di momenti felici,di vite trascorse e morte, esistono ancora,insieme a lei.
Nella sua voce,la sua. Nelle sue parole,il mormorio dei suoi pensieri. Nei suoi gesti l’ombra dei suoi o anzi meglio di quelli che lui farebbe. Nelle sue intenzioni,il riflesso dei suoi sogni. Eppure è libera. O almeno ora è legata a un’assenza,che la rende libera. Libera di ricordare, riuscendo lo stesso a guardare avanti. Libera di non dimenticare. Dimenticare era solo un’inutile tortura. Libera di piangere e guardarsi allo specchio,senza nascondere nessun tratto di pelle anche se ciò comporta dolore. Dolore che non sa condividere.
La liberazione sta nella consapevolezza. Consapevolezza,che lui non ci sarà mai più. Consapevolezza che lui c’é nella sua stessa assenza.
E ora respira. Continua a ridere. Felice e triste. Sa, però, che non potrà mai godere di una felicità perfetta senza la minima parvenza di difetto, perché lui non ci sarebbe stato a viverla con lei. E lei ora ne aveva la certezza. Lui non sarebbe stato là a stringerle la mano davanti a un burrone, a parlare dei suoi problemi e ad ascoltare i suoi.Non sarebbe stato là,le sue promesse si erano dissolte nell’aria dei cambiamenti,nei venti delle falsità.
Ora Almudena piange,come di solito,alla sera. Non è lei,che vuole piangere,ma è il suo stesso corpo,che la costringe al pianto. Quella parte di sé,nascosta,incosciente e istintiva, che non sa accettare la sua assenza.
Ma è libera. Almudena è libera. Sa la verità. Libera nella sua stessa assenza.

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Edited by davide_oblo_comica - 11/2/2009, 22:39
 
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davide_oblo_comica
view post Posted on 13/2/2009, 14:12




Brava Fede.

 
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Fede111
view post Posted on 16/2/2009, 22:14




Grazie Davide:-)

Fede
 
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Twercetrare
view post Posted on 29/10/2012, 17:49




Condivido pienamente nonostante le idee espresse finora. Andate avanti similmente.
 
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3 replies since 11/2/2009, 21:31   94 views
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